Corso di editing. Il manuale di stile per il tuo libro

 

Dalla struttura del testo alle parole da utilizzare, fino alle nozioni di grammatica e alla correzione di bozze, ecco un utile strumento per orientarsi nell'editing di un testo. Piccole regole semplici da consultare e da mettere in pratica, per fare del proprio libro un lavoro di qualità, nella narrativa come nella saggistica.

 

Qualsiasi opera di saggistica o di narrativa, prima della pubblicazione, ha bisogno di essere controllata e revisionata.

Si tratta di un’operazione che serve da una parte a esaltare l’anima e le peculiarità del vostro lavoro, dall’altra a non cadere in eventuali errori e leggerezze che possono sminuirne il valore. 

 

Considerate il lavoro di editing come il check up generale della vostra opera, la messa a punto da effettuare perché alla fine il vostro prodotto, più bello, più curato e più “vostro”, sia finalmente pronto per una “prova su strada”.

 

L'editing di un testo contribuisce a dare all'autore stesso una visione di insieme del proprio libro, e farlo attentamente è un lavoro utile e di grande importanza. 

Ma soprattutto, se operata con la gusta distanza critica, un’attenta revisione editoriale vi servirà ad osservare la vostra opera in maniera più oggettiva. Abbiamo pensato a questo utile strumento per consentire a chiunque di controllare quegli aspetti che possono fare la differenza e affinare la qualità del proprio lavoro. 

 

Si va dai banali refusi alle sviste grammaticali, fino all’uso della lingua e alla disposizione dei contenuti. 

Aver cura del proprio testo vuol dire analizzare la struttura e la chiarezza della pubblicazione, essere sicuri di aver utilizzato le parole giuste, ma anche di aver scelto il carattere ottimale per il tipo di pubblicazione. 

All’interno di questa piccola guida all’editing troverete delle piccole nozioni di grammatica da consultare velocemente per non cadere nelle trappole più comuni (ma non per questo meno importanti) e per chi scrive soprattutto di saggistica sarà poi utile apprendere come inserire le note correttamente, gestire le abbreviazioni e i rimandi interni, così come le indicazioni bibliografiche. 

 

E per sorridere un po’ vi lasciamo con un piccolo elenco “semiserio” delle cose “da non fare assolutamente”, raccolte in rete da Umberto Eco. Ne abbiamo scelto alcune:

 

1. Evitate le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

3. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

4. Le parole straniere non fanno affatto bon ton. Ok?

5. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: «Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu».

6. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

7. Sii sempre più o meno specifico.

8. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

9. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

10. Metti, le virgole, al posto giusto.

 

Buon divertimento e buona lettura!

 

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1. La struttura del testo

 

Nella partizione interna si consiglia l’adozione di una struttura chiara e semplice (parte, capitolo, paragrafo), limitando al minimo l’uso di sottoparagrafazioni ed evitando il più possibile che le varie partizioni siano troppo lunghe, o anche lunghe in maniera disomogenea. 

Secondo le convenzioni editoriali più diffuse la pagina dispari (destra) è considerata la più importante, di conseguenza lì si troveranno: il frontespizio, l’introduzione, il primo capitolo, il sommario (sia che lo poniate a inizio o fine volume). Le altre sezioni di testo vanno iniziate sempre a pagina nuova, ma non necessariamente dispari, così che eviterete nel corso del testo delle brutte, quanto inutili, pagine bianche.

Perché il libro sia adeguato agli standard editoriali le prime e le ultime pagine devono seguire alcune convenzioni. Le prime due pagine solitamente sono bianche (a imitazione di quelle che un tempo si chiamavano pagine “di guardia”), a p. 3 sta il frontespizio, la prima pagina destra stampata, dove sono indicati l’autore, il titolo ed eventuali collaboratori (curatore, traduttore, illustratore, autore della prefazione, ecc.), se si vuole anche il luogo di pubblicazione e l’anno. Il retrofrontespizio, a p. 4, può rimanere bianco o contenere eventuali epigrafi o dediche, o ancora riportare eventuali credits per le immagini con copyright che sono contenute nel testo. Il libro vero e proprio inizierà dunque a p. 5, con l’eventuale premessa o introduzione, o direttamente con il primo capitolo. Un’altra possibilità di impiego per la p. 5 è per una dedica, nel caso il primo capitolo sarà a p. 7.

La p. 1 può essere anche impegnata da un occhiello con il nome della collana o il titolo ridotto del volume o, ad esempio, il logo di un Istituto.

Nell’ultima pagina, che sarà sempre di numero pari, dovrà collocarsi il colophon, che conterrà tutte le indicazioni necessarie a termini di legge: il luogo e l’anno di pubblicazione, il nome e il domicilio dello stampatore, il copyright (© Nome Autore, anno).

 

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2. Scegli le parole giuste

La miglior tecnica di scrittura, che tu stia scrivendo un romanzo o un saggio, prevede l’uso di una lingua che sia il più possibile semplice e diretta. Sono preferibili frasi brevi e concise a quelle involute ed elaborate, che costruiscono castelli di subordinate aggrovigliate dalle quali uscire senza fiato e con qualche dubbio di comprensione. Se ti rendi conto, leggendo una frase, che è necessario tornare sulle mancate concordanze di sostantivi, aggettivi e pronomi, per assicurarne la perfetta comprensione, significa che qualcosa nell’elaborato è stato mal costruito: meglio spezzare la frase con un punto. E ricominciare con un nuovo soggetto.

Attenzione a luoghi comuni e frasi fatte, è sufficiente cercarli nei motori di ricerca e ne troverete in quantità esorbitanti. Luoghi comuni concettuali (non ci sono più le mezze stagioni, è tutta colpa del buco nell’ozono, ecc.) e linguistici (quant’altro, nella misura in cui, piuttosto che, ecc.) che si affiancano a espressioni banali e già sentite (la volpe furba, il bandito feroce, restare con un pugno di mosche, tagliare la testa al toro, ecc.) costruiscono un libro noioso e prevedibile, che incuriosirà e avvincerà ben poco il mal capitato lettore.

Non necessariamente la ricchezza di un discorso è data da una scelta di vocaboli desueti e complessi, è sufficiente armarsi di un buon dizionario dei sinonimi e dei contrari ed esercitare tutta la propria fantasia e ovviamente il proprio talento artistico per cercare, attraverso le variazioni lessicali, di presentare sentimenti o situazioni in maniera scorrevole, brillante e intrigante.

 

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3. Carattere e interlinea

Una volta scelto il formato che dovrà avere il libro, la dimensione di caratteri e l’interlinea devono essere adeguate: impiegare il corpo 14 per un tascabile è sgradevole tanto quanto il corpo 10 per un formato grande (tipo A4). Meglio evitare di distanziare troppo le righe (interlinea 2) in un formato piccolo o di ravvicinarle troppo in uno grande (interlinea 1). Ci dev’essere una buona proporzione e armonia, in modo che l’occhio non sia aggredito da un testo troppo denso o annoiato da uno troppo diluito.

 

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4. Trattini e spaziature

Nella scrittura del testo, perché la disposizione grafica delle parole nella riga sia omogenea, ovvero per evitare fastidiose spaziature eccessive tra le parole in alternanza con righe di testo apparentemente compresse, conviene utilizzare la divisione sillabica automatica offerta dal vostro programma di videoscrittura. 

Di seguito trovi qualche consiglio di revisione generale perché il testo che stai pubblicando risulti “pulito”:

- tra parola e parola ci vuole un solo spazio (controlla sempre, a fine lavoro, con gli strumenti automatici messi a disposizione dal tuo programma di videoscrittura, l’eventuale presenza di doppi spazi)

- non devono esserci mai spazi prima della punteggiatura, ma sempre subito dopo

- non va mai messo lo spazio dopo l’apostrofo, né all’interno di parentesi e virgolette

- non deve esserci alcuno spazio tra una parola e l’eventuale esponente di nota

- non bisogna utilizzare l’apostrofo al posto dell’accento, né per le lettere minuscole né per le maiuscole, ma impiegare le vocali accentate presenti sulla tastiera o tra i simboli del codice ASCII (non e’/E’, ma è/È)

- distinguere sempre il trattino congiuntivo, corto, senza spazi prima e dopo (es. 1999-2012) dal trattino disgiuntivo, lungo, spaziato prima e dopo, da utilizzare per gli incisi, le elencazioni o le battute di dialogo (es. – Smettila! – disse, e scappò via)

 

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5. Un ripasso della grammatica

 

In italiano l’accento finale, d’obbligo sulle parole tronche, è grave per le vocali a i o u, mentre sulla e può essere sia grave che acuto. In particolare:

- è grave sulla terza persona del verbo essere, nonché su alcune locuzioni come: ahimè, ohimè, caffè, cioè, tè, piè; nei francesismi come bebè, cabarè, purè; in molti nomi propri come Giosuè, Mosè, Noè, Salomè

- è acuto su locuzioni comuni come ché e relativi composti (ad es. perché, cosic-ché, poiché, nonché); in mercé, né, sé, testé; in fé e composti (affé, autodafé); nella terza persona di alcuni verbi al passato remoto (poté, ripeté); nei composti di re (viceré) e nei numeri che terminano con tre (ventitré).

L’accento tonico, collocato su una vocale intermedia della parola, è facoltativo e solitamente viene utilizzato per distinguere parole omonime: in questi casi a i u hanno l’accento grave, e o possono averlo sia grave che acuto. Qualche esempio: prìncipi / princìpi (si preferisce evitare la doppia i finale); séguito / seguìto; àncora / ancóra; fóro / fòro; vólto / vòlto; pésca / pèsca. Ripetiamo, è facoltativo: lo si usi solo nel caso in cui i vocaboli omonimi compaiano nello stesso contesto e si crei difficoltà di comprensione.

L’accento tonico non va sui monosillabi, a meno che non si voglia dirimere casi di omonimia: da (preposizione) /dà (verbo); la (articolo/pronome) / là (avverbio); li (pro-nome) / lì (avverbio); si (pronome) / sì (avverbio). Non si mettono quindi mai gli accenti su: so, sa (del verbo sapere: io non lo so, lei lo sa), fa (vent’anni fa), su (ti aspetto su), do (del verbo dare: guarda che te le do!)

 

 

Apostrofo

 

Non si usa mai con qual (qual è), né con tal (tal altro) ma sempre in po’ (poco), mo’ (modo), negli imperativi va’, sta’, da’, fa’, di’. Troppe volte capita di assistere a un errore elementare, quindi ricordiamo anche questa norma: l’articolo indeterminato maschile ha due forme, un e uno, e non si apostrofa mai davanti a vocale; invece quello femminile (una) sì, davanti a vocale si apostrofa sempre (un’anatra).

 

Punteggiatura

 

Non si inserisce lo spazio prima dei segni di interpunzione, ma va sempre messo su-bito dopo. Vanno posti dopo eventuali parentesi, incisi e virgolette. 

- puntini di sospensione: (sono 3, non di più), uniti alla parola che precede, staccati da quella che segue con uno spazio, indicano una interruzione o una sospensione del di-scorso (Carlo... no niente... puoi andare). Racchiusi tra parentesi tonde o quadre possono essere impiegati per indicare un’omissione all’interno di una citazione (Quel ramo del lago di Como [...], tra due catene non interrotte di monti)

- virgola: di norma non deve separare il soggetto dal predicato o il predicato dal suo complemento oggetto o il sostantivo dall’aggettivo, a meno che non si voglia dare particolare rilievo a uno di questi elementi invertendo, ad esempio, la consueta successione delle parole (rotolava a valle, quel maledetto barattolo, e nessuno riusciva a fermarlo). Non va messa prima della congiunzione e, a meno che essa, come nell’esempio appena citato, non sia preceduta da un inciso

- due punti: sono usati per introdurre un chiarimento, un’argomentazione o un am-pliamento (finalmente l’hai ammesso: sei stato tu a ucciderlo!), ma anche una citazione o un discorso diretto; mai due volte nello stesso periodo, meglio un punto, un punto e virgola o un cioé.

- punto e virgola: indica una pausa maggiore della virgola, minore del punto. È im-piegato, ad esempio, per separare i termini di un elenco introdotto dai due punti; ma anche per introdurre una frase correlata in un discorso complesso (ad es. introdotta da ma, mentre, poiché, tuttavia, ecc.

- lineetta: apre e chiude un inciso, se di estensione notevole o se presente in una frase già costellata di incisi, ove non si possa dividerla. Ha in generale una funzione di stacco che può essere svolta in qualche caso, a volte con vantaggio, anche da altri segni di interpunzione quali i due punti, il punto e virgola, la virgola, le parentesi tonde, i puntini di sospensione

- punto: il punto fermo conclude sempre una frase che non termini con punto inter-rogativo, esclamativo, puntini di sospensione o con il punto di abbreviazione (ad esempio una frase che termini con ecc.). Può anche essere usato, interrompendo una frase, per dare maggiore rilievo alla normale pausa di lettura: Era bello. E simpatico.

 

 

 

Uso della d eufonica

 

La d eufonica unita alla preposizione a, alla congiunzione e, e alla disgiuntiva o, non è obbligatoria, il suo uso è solo dettato da una questione di stile personale. Col tempo se ne è ridotto l’uso tanto che ora si preferisce evitarla del tutto, oppure mantenerla solo nei casi di iniziale omofona (es. ed eventualmente; ma e anche; ad Antonio, ma a unire), eccetto od, che non si usa più. L’unica eccezione è nella formula ad esempio, ormai fossilizzata dall’uso. 

 

Corsivo

 

Il corsivo può essere utilizzato per dare particolare risalto a parole o brevi periodi; in questo caso però l’uso conviene sia ridotto al minimo indispensabile. Piuttosto, che siano corsive le parole straniere quando non entrate stabilmente nell’uso italiano (non perciò computer, sport, flipper, film, deficit, che saranno invariabili al plurale). Così come le parole che, pur essendo diffuse, si riferiscono a particolari ambiti tecnici o a gerghi specialistici (online, default, ecc.).

Il corsivo va usato in generale per indicare i titoli delle opere di ingegno che hanno carattere unitario, cioè: titoli di libri, articoli, saggi, voci di enciclopedie, composizioni musicali, titoli di poesie, canzoni, quadri e sculture, film, videogiochi, programmi per computer, storie a fumetti, ecc. 

 

Virgolette

 

L’uso delle virgolette può variare, ogni editore utilizza proprie norme in merito. Ti proponiamo un’indicazione di quale potrebbe essere un uso appropriato:

- basse (« »): si impiegano per le citazioni di brani di poche righe (se più lunghe me-glio ricorrere all’infratesto: a capo, in corpo minore, staccato prima e dopo da una riga bianca). 

- alte doppie (“ ”), si usano di norma per sottolineature enfatiche o attenuazioni prudenziali (da ridurre davvero al minimo), o per riprendere un termine in una particolare accezione. 

- alte singole (‘ ’), si usano per spiegazioni e significati (es.: house, ‘casa’).

- nel caso limite si presentassero citazioni all’interno di citazioni, a loro volta ancora all’interno di citazioni, la scala “gerarchica” delle virgolette potrebbe essere la seguente «aaa “bbb ‘ccc’ bbb” aaa» (lo stesso si può dire per il discorso diretto, ammesso che si usino virgolette e non trattini). 

 

Maiuscole e minuscole

 

In generale si sconsiglia l’impiego eccessivo di maiuscole: se si vuole dare enfasi a un vocabolo è preferibile l’impiego di corsivo o virgolette. Per fare un esempio sull’uso parsimonioso (e democratico) delle maiuscole: se non le ritieni indispensabili per indicare un qualunque mestiere (maestro, impiegato), è bene con coerenza non assegnarle neanche a re, ministri e presidenti. In ogni caso, qualunque scelta si intenda adottare, essa deve essere applicata con uniformità e coerenza in tutto il volume.

In generale la lingua italiana richiede l’iniziale maiuscola per tutte le parole che hanno valore di nome proprio. In particolare: 

- i nomi di popoli antichi o comunque non più esistenti come tali (i Romani, i Fenici, gli Avari, i Normanni), nonché le etnie non europee (i Sioux, i Gurkha, gli Zulu); i nomi di popoli moderni avranno invece l’iniziale minuscola;

- soprannomi e pseudonimi: il Re Sole, il Beato Angelico; 

- denominazioni antonomastiche: il Vecchio Mondo, la Grande Guerra; 

- denominazioni di festività (Natale, Ferragosto)

- aggettivi sostantivati che indicano territori: il Bellunese, il Napoletano; 

- nomi geografici costituiti da due sostantivi o da un sostantivo e un aggettivo in funzione di nome proprio: la Terra del Fuoco, l’Australia Occidentale, il Monte Bianco; 

- nomi di secoli, età, periodi storici: il Novecento, gli anni Venti, la Controriforma, il Medioevo; 

- la prima parola dei nomi ufficiali di partiti: Partito comunista italiano, Partito la-burista; 

- nomi dei periodi geologici e preistorici: il Giurassico, il Paleolitico; 

- titoli stranieri: Sir John Franklin (si ricorda che il titolo di Sir non è mai usato col solo cognome), Lord Hamilton, Lady Mary, Herr, Frau, Fräulein, Madame, Monsieur, Mademoiselle; 

- nomi di edifici e monumenti: la Casa Bianca, Palazzo Chigi; 

- i seguenti nomi per distinguerli dai loro omografi: Tesoro, Interni (ministeri); Legge, Scienze (intese come facoltà universitarie); Camera dei deputati, Camera dei Comuni. Altri esempi: Stato (istituzione) / stato (contrapposto a moto); Chiesa (istituzione) / chiesa (edificio); San Pietro (basilica) / san Pietro (persona); Nord (regione, preceduto da articolo) / nord (direzione, punto cardinale).

Hanno l’iniziale minuscola: 

- i nomi indicanti cariche, titoli, ecc.: il presidente della Repubblica, il ministro del Tesoro, don Bosco, il marchese di Carabas, il professor Rossi; 

- i nomi di religioni, correnti, ideologie, movimenti, ecc.: cristianesimo, buddhismo, marxismo; 

- nei nomi geografici, gli aggettivi che indicano l’appartenenza geografica, culturale o politica di un territorio e che non fanno parte del nome ufficiale: America latina, Asia sovietica; 

- indicazioni topografiche cittadine: via Mazzini, piazza San Giovanni, rue des Ro-siers (ma Jermyn Street, Soho Square). 

Limitare frasi fatte, acronimi di enti e sigle. Sigle e acronimi vanno in maiuscolo, a meno che non siano note in altra forma o siano abbreviazioni o loghi composti in cui compaiono insieme maiuscole e minuscole per convenzione acquisita (es. CriLet, ICoN). Le varie lettere non vanno separate dal punto (es. ONU). È sciogliere l’acronimo alla prima occorrenza, a meno che non sia prevista una tavola delle abbreviazioni.

 

Parole straniere

 

Le parole straniere non entrate nell’uso comune vanno in corsivo e prendono, nel caso, la desinenza del plurale secondo le regole della lingua di appartenenza. Le parole straniere ormai assimilate alla nostra lingua vanno in tondo e restano invariate al singolare ad eccezione delle parole francesi e tedesche, anche quelle di uso corrente, che mantengono la forma del plurale (élites, Gestalten, ecc.). In un saggio di informatica, ad esempio, i termini informatici più comuni andranno in tondo. Lo stesso vale per il latino: curriculum, deficit, memorandum non necessitano il corsivo, ma espressioni come status quo, ex novo, a priori forse sì. Come sempre l’importante è che qualunque scelta sia stata adottata, la si persegua con coerenza in tutto il libro. 

L’articolo italiano che accompagna una parola straniera deve essere del genere e del numero richiesto dalla lingua originale. 

Madame, Monsieur, Messieurs, Lord, Lady, Sir e le relative abbreviazioni vanno in maiuscolo. I sostantivi tedeschi hanno l’iniziale maiuscola, anche quando si tratta di termini entrati nell’uso italiano, come Gestalt, Kitsch, Leitmotiv. 

I nomi di città straniere, nel testo e comunque in ambito discorsivo, si traducono o-gni volta che sia vivo nell’uso il corrispondente italiano (Edimburgo, Anversa, Parigi, ma New York). Nei dati bibliografici, invece, la città non verrà mai tradotta (es. Paris, Gallimard, 2012). 

È bene menzionare i nomi stranieri in lingua originale a meno che l’uso corrente non prescriva il contrario (es. William Shakespeare e non Guglielmo Shakespeare, ma Giovanni Keplero, Anna Bolena, ecc.).

 

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6. Traduzioni

 

Se in un saggio citi un’opera in lingua originale è bene riportare anche la traduzione, attingendo alle versioni correnti, se disponibili, o traducendo in proprio. Nel primo caso dovrai riportare in nota le dovute indicazioni bibliografiche; nel secondo, l’avviso che la traduzione è a cura dell’autore o del curatore. La citazione originale va di norma nel testo, e la relativa traduzione in nota o, se nel testo, fra parentesi tonde. Se per ragioni di scorrevolezza ritieni meglio citare una traduzione italiana, il consiglio è di riportare comunque sempre in nota il riferimento bibliografico del testo originale.

 

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7. Traslitterazioni

 

Le parole traslitterate, se non si tratta ovviamente di nomi, patronimici o cognomi, o di altre parole per le quali sia prescritto il tondo, vanno sempre in corsivo. 

 

Per tutti i caratteri speciali e per tutti i segni diacritici è opportuno riferirsi ai sistemi scientifici di traslitterazione, con riferimento alle norme adottate nel Dizionario enciclopedico italiano. Bisogna evitare di riprodurre in un testo italiano il sistema di traslitterazione di altri paesi (in italiano Čajkovskij, in tedesco Tschaikowski), poiché può essere fuorviante per la pronuncia.

 

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8. Rimandi interni

 

I rinvii interni a capitoli, paragrafi, note, figure, tabelle, ecc. saranno più immediatamente comprensibili se verranno introdotti da avverbi come sopra (t.do), supra (c.vo) nel caso in cui si rimandi a un luogo che preceda, o da sotto, avanti (t.do), infra (c.vo) nel caso in cui il luogo si trovi invece più avanti. 

Per facilitarne la compilazione conviene che si introducano rimandi non a pagine specifiche, ma piuttosto a sezioni di testo (capitoli, paragrafi, ecc.) in modo da evitare il più possibile che si debba modificare il rinvio in corso di elaborazione del testo.

 

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9. Indirizzi internet

 

Degli indirizzi internet eventualmente citati va sempre verificata l’esattezza mediante “copia/incolla” sul browser (perché anche un solo carattere diverso, come una minuscola al posto di una maiuscola, rende inutilizzabile l’indirizzo). Vanno scritti per esteso senza omettere l’indicazione del protocollo, ossia la parte iniziale (es.: http://), ed evitando in qualunque caso di spezzarli. Per completezza è bene indicare tra parentesi la data dell’ultima consultazione.

In un contesto discorsivo, i nomi dei siti noti o ripetuti, Google, Amazon, ecc., si possono indicare semplicemente con la maiuscola senza ulteriori specifiche (http, it, com, ecc.).

 

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10. Indicazioni bibliografiche

 

I libri di saggistica è importante che siano corredati da un apparato di note – esplicative o di approfondimento bibliografico –, che siano a completamento delle informazioni fornite nella trattazione. Le teorie di altri studiosi, nonché le citazioni di passi delle loro pubblicazioni, devono sempre riportare l’esatta indicazione bibliografica di riferimento. È buona norma evitare che queste indicazioni si trovino nel corpo del testo (a meno che non si usi il sistema di rimandi americano – Autore anno – con scioglimento nella bibliografia finale), è preferibile piuttosto riportarle in nota. Se è presente una bibliografia finale, le note conterranno solo i dati essenziali, e la bibliografia i dati completi. 

Per ridurre al minimo le informazioni contenute nelle note suggeriamo, in caso di ri-ferimento a dati bibliografici ricorrenti, di adottare un sistema di sigle e abbreviazioni, rendendone conto in una lista apposita a inizio volume (ad es. collocata subito dopo l’introduzione).

Nelle citazioni di titoli stranieri, ricordarsi sempre che: 

- nei titoli in lingua inglese tutte le parole tranne articoli, preposizioni brevi e con-giunzioni hanno l’iniziale maiuscola; tra titolo e sottotitolo vanno posti i due punti (:)

- nei titoli in lingua francese, se la prima parola è un articolo, anche la seconda parola ha iniziale maiuscola

- nei titoli italiani, salvo esigenze specifiche (nomi propri, ecc.), l’iniziale maiuscola si usa solo per la prima parola. 

 

Monografie

 

Nella citazione di volumi monografici si inseriscono in nota i seguenti dati: N. (o Nome per esteso, ma solo per ovviare a problemi di omonimia) Cognome, Titolo del libro. Sottotitolo in corsivo, Città, Editore, anno, volume (vol.), pagine citate (es. A. Marino, Teoria della letteratura, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 324-352).

Cognome, Nome dell’autore per esteso con iniziale maiuscola e le altre lettere in minuscolo, virgola Titolo del libro. Sottotitolo tutto in corsivo, Curatore (a cura di), Prefatore (pref. di, intr. di), Traduttore (trad. it. di), numero dei volumi se più d’uno, Città, Editore, anno di edizione, Titoli eventuali dei singoli volumi in corsivo (es.: W. Shakespeare, Opere complete, trad. e cura di G. Baldini, 3 voll., Milano, Rizzoli, 1963). 

 

Volumi miscellanei

 

In caso di testi composti da più contributi si indica il nome del curatore o dei curatori: N. Cognome (a cura di), Titolo del Libro in corsivo, Città, Editore, ecc. (è preferibile mettere sempre “a cura di” in italiano, a meno che non si lavori su un corpus di opere originali in lingua). es. M. Detienne (a cura di), Les savoirs de l’écriture en Grèce ancienne, Lille, Presses Universitaires de Lille, 1988, p. 41. 

Nel caso non sia indicato un curatore si indica il primo o i primi autori seguiti, ad e-sempio, dalla formula et al. 

 

Articoli e saggi

 

Per citare un articolo contenuto in una rivista si indica: N. Cognome, Titolo del saggio (in corsivo), in «Titolo della rivista» (tra virgolette), anno (o data), numero, pagine (iniziale e finale). es.: N. Alexander, Libya. The Continuous Revolution, in «Middle Eastern Studies», 17 1981, pp. 210-27.

Nel caso si citi il singolo contributo di un autore presente in un volume miscellaneo, si procede in maniera analoga: H. Bleuchot-T. Monastiri, L’Islam de M. El-Qaddhafi, in E. Gellner e J.C. Vatin (a cura di), Islam et politique au Maghreb, Paris, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1981, pp. 47-67.

 

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11. Le note

 

In linea generale, le note hanno numerazione progressiva (araba) che ricomincia a ogni capitolo. Saranno poste a piè di pagina se esplicative del testo, a fine capitolo o fine volume se di approfondimento. Gli indicatori di nota, nel testo, devono essere posti immediatamente di seguito alla parola di riferimento, collocati uniformemente prima o dopo la punteggiatura.

All’interno della nota è meglio evitare capoversi e infratesti, eventuali citazioni si possono invece inserire tra virgolette basse, di seguito; se si citano i versi di una poesia, non si andrà a capo a ogni verso, ma si porranno uno di seguito all’altro, separandoli con la sbarretta obliqua (/). La nota si conclude con un punto fermo.

Per quanto riguarda i riferimenti bibliografici inseriti in nota, per evitare una sovrab-bondanza di informazioni (che magari per lo più si ripetono), si possono usare degli accor-gimenti che sfoltiscono le eccedenze, lasciando ben chiari i contenuti:

 

a) in caso di citazioni ricorrenti della stessa opera in note non contigue è consigliabile riportare almeno la prima parte del titolo, seguito dall’abbreviazione cit. La formula op. cit. o art. cit. si userà solo se non si ingenera confusione, ad es., con altre opere dello stesso autore:

1. P. Levi, L’osteria di Brema, Milano, Scheiwiller, 1975, p. 128. 

2. ...

3. P. Levi, L’osteria di Brema, cit., p. 133. 

 

b) in caso di citazioni dalla stessa opera in note contigue, per evitare inutili ripetizioni, si può utilizzare, Ivi, seguito dal numero di pagina (se la pagina di riferimento differisce dalla precedente) oppure Ibid. (se la pagina è la stessa)

1. B. Fenoglio, Il partigiano Johnny, a cura di C. Milanini, Milano, Einaudi Scuola, 2001, p. 34. 

2. Ivi, p. 89. 

3. Ibid. 

 

c) per la citazione dei classici, può bastare, l’indicazione del passo citato secondo le convenzioni in uso (es.: Agostino, Confessioni, XI 15 18-22 28; Marco, 16 17; Atti, 2 4; Corinti, 14 2; Aristotele, Poetica, I 5; Tacito, Historiae, I 1).

 

d) se si ricorre a citazioni molto ricorrenti dello stesso gruppo di opere (ad esempio in articoli monografici dedicati a specifici autori) o si fa spesso riferimento a dizionari, corpus o enciclopedie, può essere conveniente ricorrere a sigle o abbreviazioni che richiamino intuitivamente o per acronimo i titoli delle opere citate. Di tale espediente va dato conto in una chiara Legenda posta in una nota iniziale, che sciolga gli acronimi e stabilisca le corrispondenze.

 

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12. Abbreviazioni

 

Si dà qui un esempio delle abbreviazioni più ricorrenti. Si noti che quando due o più parole sono abbreviate con lettere singole (es.: a.C.) non si lascia spazio fra l’una e l’altra lettera: 

 

 

avanti Cristo/dopo Cristo a.C./d.C.

capitolo, capitoli cap., capp. 

citato, citati cit., citt. 

colonna, colonne col., coll. 

confronta cfr. 

Idem/Eadem Id./Ead. 

e altri et al./et alii

eccetera ecc.

edizione/edizione originale ed./ed. or. 

esempio es.

fascicolo fasc.

figura, figure fig., figg.

foglio, fogli f., ff. 

gradi centigradi °C 

Ibidem Ibid. 

introduzione intr.

manoscritto, manoscritti ms., mss. 

nota dell’autore N.d.A. 

nota del curatore N.d.C.

nota del redattore N.d.R.

nota del traduttore N.d.T.

numero, numeri n., nn.

pagina, pagine p., pp. 

paragrafo, paragrafi par., parr. 

prefazione/premessa pref./prem.

seguente, seguenti sg., sgg.

senza nota tipografica s.n.t.

tavola, tavole tav., tavv.

tomo, tomi t./tt.

traduzione trad. 

verso, versi v., vv. 

volume, volumi vol., voll. 

 

 

Le indicazioni di misura (m, km, cm, mm, g, kg, l, km/h, ecc.) sono considerate simboli e pertanto non richiedono il punto. I simboli non si addicono a un contesto discorsivo (il chilogrammo è l’unità di peso), ma sono preferibili se poste di fianco a un numero (ho comprato 3 kg di pere).

 

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13. Immagini

 

Se vuoi che il tuo libro sia illustrato da fotografie, schemi, cartine, tabelle, ecc., ricordati di numerarle progressivamente e di porre in calce ad ognuna la relativa didascalia. Le didascalie devono contenere non solo la descrizione dell’immagine, ma anche tutte le indicazioni necessarie per la pubblicazione (fonti, proprietari dei diritti con rispettivo indirizzo, menzioni di autorizzazioni, collocazione in musei, biblioteche o raccolte, ringraziamenti d’obbligo, ecc.).

Il formato dei file grafici (jpg, tif, ecc.) deve essere in grado di garantire una buona qualità dell’immagine.

 

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14. La revisione finale

Che tu sia esperto o meno nell’arte di scrivere un libro, ci sono degli errori in cui inevitabilmente tutti prima o poi incorrono. Per evitare di rimanervi invischiato, il suggerimento più importante, che è anche il più semplice e fors’anche banale a dirsi, è di rileggere più volte il testo prima di darlo alle stampe. E magari farlo rileggere anche da una o più persone.

Accortezza vuole che le varie letture, inoltre, siano diversificate e mirate, di volta in volta, a un preciso obiettivo: che sia di contenuto (che non manchino dei passaggi, che non ci siano ripetizioni, che l’esposizione sia chiara, che la sintassi sia rispettata, ecc.) o di forma (errori di battitura, di ortografia, uso di scoordinato di maiuscoli o corsivi, di spaziature ed interlinee, ecc.). Infatti, se si sta seguendo la costruzione del periodo per evitare che ci sfugga un congiuntivo, è difficile allo stesso tempo notare se le parole sono state digitate male. Un suggerimento lo offrono già i correttori interni dei maggiori programmi di videoscrittura, ma non bisogna mai affidarsi completamente al software, il quale potrà segnalare anomalie che non condividiamo e non accorgersi di un errore marchiano. Insomma, non avrà mai la giusta “sensibilità” per cogliere tutto ciò che serve.

Il software è però di grande supporto quando si devono compiere delle ricerche au-tomatiche nel file: ad esempio per verificare che la parola Milano sia stata sempre scritta con l’iniziale maiuscola, o che non ci siano rimasti doppi spazi tra una parola e l’altra, o che rimangano ancora da qualche parte sottolineature o evidenziazioni di servizio.

 

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15. Il correttore di bozze

 

In sostanza, una volta finito di redigere il dattiloscritto, dovrai sostituirti alla figura, di norma presente nelle case editrici, del correttore di bozze. È lui che si occupa di rileggere e correggere una bozza, ovvero il testo che viene stampato in fase preliminare su carta corrente, ma che è ancora suscettibile di revisione. 

I suoi interventi sono sostanzialmente quelli sopra descritti, ovvero di revisione dei contenuti e della forma. A questi si aggiunge poi il controllo sul lavoro tipografico, su quella che viene definita mise-en-page: dovrà verificare che non ci siano righe di testo vedove o orfane che iniziano o chiudono male la pagina; che non ci siano mozzini (la singola sillaba che va a capo prima di un nuovo capoverso); che le righe di testo siano omogenee (senza una spaziatura troppo larga o, viceversa, troppo compressa tra le parole); che ai richiami di nota (i numeri in apice vicino ad alcuni termini) corrispondano sempre delle note, che siano, nel caso, al piede di quella pagina e non della successiva; che le intestazioni e i piè di pagina riportino i dati stabiliti, ecc. Insomma, verificherà che la costruzione generale del libro, e insieme l’adeguata distribuzione di occhielli e pagine bianche, rispetti le convenzioni editoriali.

Si possono compiere vari “giri” di bozze, nuove stampe sempre più rifinite dal cor-rettore ma pur sempre provvisorie, fino a che non si giunge alla versione definitiva e pulita del volume, cui finalmente si darà il “visto si stampi”.

Consegnare alle stampe un libro con errori o imprecisioni è considerato indice di poca cura e di mancata attenzione nei confronti del lettore, perdonabile se si tratta di giornali quotidiani, che lavorano entro tempi ristrettissimi, meno se si tratta di un libro, che ha tempi di “gestazione” indefiniti.

 

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